“Il titolo di questo album poteva essere ‘ciocabec’. In dialetto emiliano questa parola rappresenta il rumore, lo schiocco del becco di un animale che non ha nulla da mangiare e fa rumore con il becco che non ha nulla da addentare perché mio padre, famiglia di comunisti, mi diceva, quando io andavo da lui a dire ‘papà che c’è da mangiare?’, lui rispondeva ‘di ciocabec’, ovvero nulla. Ed io non capivo cos’era sta roba e dicevo ‘dammeli allora sti ciocabec, non me li dai mai’. Bello! Io stavo bene all’epoca e davanti a casa mia c’era la chiesa dove andavo a suonare l’organo. Poi mi hanno portato in Versilia, dove non mi sono mai adattato e appena ho potuto mi sono spostato a Pontremoli dove si respira già un’altra aria”. Così spiegava Zucchero all’ADN Kronos quattro anni fa, all’uscita di “Fly”; evidentemente l’idea era stata solo rimandata e non dimenticata, perché “ciocabec” - in una traslitterazione pensata per renderne la pronuncia uguale anche in inglese, cioè “Chocabeck” - è diventato il titolo del nuovo disco del cantante di Roncocesi. “Questo è un concept album, almeno nelle mie intenzioni: omogeneo nei suoni e nelle tematiche, racconta una giornata festiva, dall’alba al tramonto, in un paese che potrebbe essere quello della mia infanzia”. Un disco di radici, dunque: quasi simbolico che ad aprirlo sia una canzone scritta con Francesco Guccini, “Un soffio caldo”, primo di un trittico di brani lenti e riflessivi, intimisti e suggestivi. Il secondo, “Il suono della domenica”, sorta di manifesto dell’intero album, nella versione del disco per il mercato europeo diventa, con un testo di Bono degli U2, “Someone else’s tears”; il terzo, “Soldati nella mia città”, rievoca immediatamente tematiche degregoriane - i soldati, le suore, la neve - e fa ripensare, anche nell’ampiezza dell’apertura melodica, a “Diamante”, la canzone con testo di De Gregori inclusa nell’album “Oro incenso e birra”, 1989 (Diamante era anche il nome della nonna di Zucchero, spirito-guida di questo album, nel libretto del quale è presente in una fotografia col nipotino Adelmo, allora forse di tre-quattro anni).